In vino veritas, recita un noto proverbio latino. E la verità è che l’Italia è recentemente tornata ad essere il primo produttore mondiale di vino, surclassando la Francia, con 48,9 milioni di ettolitri solo nel 2015.
Al raggiungimento dello straordinario primato, sebbene Italia e Francia si alternino ormai da anni sul gradino più alto del podio, ha contribuito senz’altro “un’ottima annata” (per usare il titolo del celebre film con Russell Crowe), rispetto alle sfavorevoli condizioni climatiche che hanno colpito, invece, i cugini transalpini.
A questo dato si affiancano le incrollabili cifre dell’export, secondo le quali il Bel Paese ha finalmente passato il muro dei 5 miliardi di euro, raggiungendo quota 28% (oltre 1/4) dell’intera produzione europea (La Stampa). Un interessante reportage del quotidiano italiano “La Repubblica” dichiara, però, che c’è ancora molto da fare per migliorare la nostra presenza sul mercato internazionale.
Bisogna stare attenti, quindi, altrimenti si rischia di fare la stessa fine del patrimonio artistico. Ci si adagia sull’amaca del suo inestimabile prestigio e ci si dimentica di valorizzarlo. Allora, cosa può veramente fare la differenza per il vino? Sicuramente il contesto storico-culturale che è alla base del suo processo produttivo. In un mondo ormai globalizzato, infatti, un buon vino si può produrre anche dall’altra parte del mondo, concetto ribadito altresì da Giuseppe D’Andrea, global senior brand ambassador di Ruffino:
“Ogni nostro vitigno – ha dichiarato a La Repubblica – cambia a seconda di dove si trova, e ogni territorio si porta dietro la sua cultura, la sua storia. Heritage, dicono gli americani […] Ormai negli Stati Uniti ci sono vigneti ovunque, meno che alle Hawaii. Per questo l’heritage diventa fondamentale”.
Tradizione, cultura, paesaggio, legame con il territorio: queste le caratteristiche peculiari che il nostro vino può vantare. Bisogna valorizzarle, però. In questo senso, la comunicazione digitale applicata all’enologia potrebbe aiutare ad instillare nel consumatore una consapevolezza più profonda, mostrandogli video e immagini del contesto produttivo attraverso gli strumenti del QR code o della Realtà aumentata.
Stanno inoltre nascendo delle applicazioni che permettono di conoscere la qualità del vino prima ancora di stappare la bottiglia, così come dei tappi hi-tech che verificano l’autenticità e l’origine del prodotto prima del suo consumo, tutte opportunità che i produttori possono utilizzare a loro favore attraverso una corretta strategia di comunicazione.
Dallo scandalo del metanolo nel 1986 ne è passato di tempo. In 30 anni l’Italia è scesa dai 77 milioni di ettolitri ai 48 ca., mantenendosi comunque ai vertici della produzione globale. Ma il calo produttivo e dei consumi – scrive Il Sole 24 Ore – ha portato con sé un’esplosione dei valori, trainati dall’export passato da un valore di 800 milioni di euro nel 1986 ai 5,4 miliardi del 2015 (+575%). […] Una parabola che ha avuto come costante la crescita della qualità, testimoniata dal boom delle etichette Doc e Docg che erano il 10% della produzione totale negli anni ’80 e sono il 35% oggi. Un valore che, aggiungendo il dato dei vini Igt, porta la quota del vini certificati sul totale al 66%.
È importante, quindi, riflettere non solo sul valore commerciale del nostro vino e sulla sua importanza per la nostra economia, ma anche sul suo potenziale ancora inesplorato e su ciò che rappresenta per l’immagine del Paese all’estero.